venerdì 28 giugno 2024

Lectio su Gn 1,3-5

Quante volte vi è capitato di aver visto un bel paesaggio durante una gita, o affacciandovi dalla vostra finestra di casa, e vi è venuta la voglia di prendere album, matita e colori e di volerlo riprodurre?
O quante volte avete raccontato ad un amico un sogno o un fatto accadutovi?
In breve: avete ricreato, col disegno e con le parole, una realtà vista e vissuta.
È la magia del segno e delle parole.
Dio ha fatto lo stesso: vuole partecipare Se stesso, l'immenso Amore che è la Sua essenza (lo Spirito di Dio aleggiava sulle acque Gn. 1,2) e descrive con le parole le creature che ancora non esistono e a cui Egli stesso darà vita perché possano ricevere il Suo dono.
Il libro della Genesi, infatti, inizia con queste parole:
Dio disse: «Sia luce!» E luce fu. Dio vide che la luce era buona; e Dio separò la luce dalle tenebre. Dio chiamò la luce «giorno» e le tenebre «notte». Fu sera, poi fu mattina: primo giorno. (Gn 1,3-5)
E Giovanni inizia il suo Vangelo così:
Nel principio era la Parola, la Parola era con Dio, e la Parola era Dio. Essa era nel principio con Dio. Ogni cosa è stata fatta per mezzo di lei; e senza di lei neppure una delle cose fatte è stata fatta. In lei era la vita, e la vita era la luce degli uomini. (Gv 1, 1-4)
Anche noi, perciò, ogni volta che parliamo, facciamo come Dio.
Questo ci fa capire quanto siano importanti le parole e quanto sia importante fare attenzione a cosa diciamo e a come lo diciamo.
E noi, non siamo forse in grado di capire chi abbiamo davanti dal modo in cui parla e si muove? Esiste una vera e propria scienza che è in grado di insegnarci a scoprire chi è il nostro interlocutore da questi segni.
E la psicologia ci aiuta a scoprire gli aspetti nascosti di noi proprio analizzando le nostre parole, il nostro modo di muoverci e interagire.
In sintesi: ciò che siamo dentro traspare sempre da come lo trasmettiamo, fuori, agli altri.
Allora, se vogliamo creare attorno a noi un mondo d'amore, pace, solidarietà, dobbiamo cominciare con l'esprimerlo, materializzarlo con le nostre parole e i nostri gesti.
Ciò non vuol dire che se sono arrabbiato non debba manifestarlo: gridare o dire pacatamente il disagio che ho dentro aiuta a portarne un po' fuori, a condividerne il peso con gli altri.
Se ho pace e amore dentro di me sarò capace di renderli visibili col mio parlare e il mio comportamento. E se attorno a me gli altri riescono a percepire un mondo di pace e amore, a loro volta ne trarranno beneficio e ne trasmetteranno a me.
Costruire dentro e fuori di noi un mondo diverso, pacificato, è un cammino lungo e difficile; ma non impossibile.
Cominciare coll'usare le giuste parole e dirle con il giusto tono è un buon primo passo. Impariamo a disegnare nel nostro ambiente gli scorci di serenità e beatitudine che vediamo o sogniamo nel nostro spirito.
È un modo per essere, insieme a Dio, creatori di un nuovo mondo.

martedì 25 giugno 2024

Lectio divina su Gc 3,1-2

"Fratelli miei, non siate in molti a fare da maestri, sapendo che ne 
subiremo un più severo giudizio, poiché manchiamo tutti in molte cose. Se uno non sbaglia nel parlare è un uomo perfetto, capace di tenere a freno anche tutto il corpo.
"

"Fratelli, non siate in molti a fare da maestri". Proviamo a fare un giro in rete, anche nelle nostre pagine FB, e contiamo quanti sono quelli che ci bombardano con post pieni di saggezza, immagini di un mondo perfetto, dove per citare Isaia “il lupo abiterà con l'agnello” (Is 11,6), in cui annunciano di aver fatto la scoperta del secolo, anzi del millennio, anzi la scoperta di tutte le scoperte, quella che ci proietterà in un universo magnifico, “dove scorre latte e miele” (Es 3,8).
Non parlo di coloro che conosciamo bene, di cui ci fidiamo, di cui conosciamo le virtù personali e di cui sappiamo che ciò che viene scritto e detto è frutto di esperienza personale sincera e vera.
Parlo di tutti coloro che arrivano da noi con soluzioni miracolose. Non ci sono soluzioni miracolose, per il semplice fatto che le soluzioni, quando le troviamo, sono sempre frutto di una lunga e spesso dolorosa esperienza personale di fede. Niente è gratis su questa terra, se non l'Amore di Cristo!
Allora è facile essere maestri... facendo andare la lingua, dice Giacomo. Ma attenzione, perché nel momento in cui ci ergiamo a maestri, proprio allora è il momento in cui siamo giudicati in modo più duro e spietato.
Dagli uomini, anzitutto, perché vogliono vedere in noi i frutti di ciò che diciamo e insegniamo. È vero che dietro lo schermo di un computer non sappiamo chi c'è, non conosciamo la vita delle persone che ci stanno parlando, inviando messaggi, foto, filmati. Ed è per questo che è ancor più facile metterci la maschera da saggi e cominciare a dare consigli. Come diceva De Andrè: "Si sa che la gente da buoni consigli... se non può dare cattivo esempio."
Ma c'è un altro che ci giudica, o meglio: che si aspetta da noi dei risultati (non è forse questo il significato di: essere giudicati?). Ed è Dio. A maggior ragione quando diciamo di parlare in nome Suo.
Giacomo allora ammonisce a non aver fretta di diventare maestri, proprio perché abbiamo la responsabilità dell'anima e della vita di chi ci ascolta e si fida, per un motivo o per un altro, delle nostre parole. Noi, dice l'apostolo, proprio per questo, subiremo un più severo giudizio. (Gc 3,1) Chi pensa di avere un dono e vuole condividerlo con gli altri, deve fare molta attenzione, perché ogni volta che parla di Dio è sottoposto ad un controllo approfondito e puntuale del proprio modo di vivere, per vedere se pratica ciò che di cui parla.
Infatti l’apostolo continua e dice: poiché manchiamo tutti in molte cose. (Gc 3,2)
Chi può dire di essere perfetto?
Se uno non sbaglia nel parlare è un uomo perfetto, capace di tenere a freno anche tutto il corpo. (Gc 3,2) Il fatto, quindi, di tenere a freno anche tutto il corpo, è il segno che siamo perfetti. Siamo veramente capaci di mettere in pratica sino in fondo ciò che diciamo?
Forse qualcuno.
Tutto ciò non significa che non ci siano di quelli che hanno dei doni particolari da pare di Dio, tra cui ci può essere anche quello di saper parlare; sapere, cioè, entrare con le parole nel cuore dell'uomo. Ed è giusto che queste persone dicano ciò che sentono nel cuore.
Quello che sicuramente non corrisponde alla volontà di Dio è che ci sia qualcuno che pretenda di avere sempre la risposta pronta.
Di falsi profeti è sempre stato pieno il mondo! Lo diceva anche Pietro: " ... ci furono anche falsi profeti tra il popolo, come ci saranno anche tra di voi falsi dottori che introdurranno occultamente eresie di perdizione, e, rinnegando il Signore che li ha riscattati, si attireranno addosso una rovina immediata." (2Pt 2,1).
E, soprattutto, ce ne saranno negli ultimi tempi, anzi questo sarà proprio un segno che il ritorno di Cristo è vicino: "Lo Spirito dichiara apertamente che negli ultimi tempi alcuni si allontaneranno dalla fede, dando retta a spiriti menzogneri e a dottrine diaboliche." (1Tim 4,1).
Perciò dice Gesù stesso: "Guardatevi dai falsi profeti che vengono a voi in veste di pecore, ma dentro son lupi rapaci." (Mt 7,15).
Allora, "Chi è saggio e accorto tra voi? Mostri con la buona condotta le sue opere ispirate a saggia mitezza". (Gc 3,13)

lunedì 24 giugno 2024

Lectio divina su Gv 14,6

“Gesù gli disse: “Io sono la via, la verità e la vita; nessuno viene al
Padre se non per mezzo di me
.” (Gv 14,6)

Noi cristiani siamo pericolosi, perché possiamo fare la rivoluzione, quella vera.
Non quella che fanno quelli che vivono nel mondo e per il mondo, a suon di manifestazioni, slogan, violenza (verbale e fisica), scopiazzamenti ideologici e teologici che dividono invece che unire, che demoliscono invece che costruire.
Noi possiamo fare la rivoluzione perché conosciamo la verità sulle cose e sul mondo; perché sappiamo cos’è vita vera, non i surrogati dei santoni laici o religiosi (compresi quelli cristiani); perché conosciamo la via per arrivare a tutto questo.
Perché noi abbiamo Gesù, via verità e vita, abbiamo la sua Parola e le sue parole.
Quando noi cristiani diciamo che dobbiamo seguire ciò che Gesù dice perché Lui è la Via, intendiamo dire: noi sappiamo già cosa dobbiamo fare, ci è stato tutto rivelato.
Perché allora non facciamo niente? Perché ci nascondiamo e non usciamo allo scoperto decisamente (“Mentre stavano compiendosi i giorni in cui sarebbe stato tolto dal mondo, (Gesù) si diresse decisamente verso Gerusalemme” Lc 9,51) e coraggiosamente (“Alzati, poiché questo è compito tuo, e noi saremo con te. Fatti coraggio, e agisci!” Esdra 10:4)?
Occupàti nelle cose di tutti i giorni, non sappiamo riconoscere la sua presenza, anche se mettiamo il vestito buono della domenica per andare a Messa o al culto.
Eppure anche ai discepoli, che condividevano fisicamente con lui la vita, più di una volta Gesù dovette ripetere: abbiate coraggio!
Essi, vedendolo camminare sul mare, pensarono: «È un fantasma», e cominciarono a gridare, perché tutti lo avevano visto ed erano rimasti turbati. Ma egli subito rivolse loro la parola e disse: «Coraggio, sono io, non temete!” (Mc 6, 49,50)
La nostra conoscenza di lui, purtroppo spesso, è seppellita sotto la nostra umanità.
Le Parole di Gesù le portano a galla, le liberano dalla ‘spazzatura’ che le ricoprono, ce le ricordano.
È la presenza dello Spirito che ci rende veri rivoluzionari, veri sovversivi, veramente pericolosi, perché: “È lo Spirito che vivifica; la carne non giova a nulla; le parole che vi ho detto sono spirito e vita.” (Gv 6,63)
E noi lo Spirito ce lo abbiamo: “Voi riceverete potenza quando lo Spirito Santo verrà su voi e mi sarete testimoni in Gerusalemme, e in tutta la Giudea e Samaria, e fino all'estremità della terra.” (At 1,8)
Un rivoluzionario, che vuole cambiare davvero il mondo, ascolta ed è fedele alla linea.
Se rimanete fedeli alla mia parola, sarete davvero miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi.” (Gv 8,31-32)

domenica 23 giugno 2024

Lectio divina su Matteo 11,28

"Venite a me, voi tutti che siete affaticati e oppressi, e io vi darò riposo"
.
(Mt 11, 28)

Oggi tutti sono sempre euforici, è quasi un obbligo essere felici, ce lo impone persino la pubblicità. Ma se ci fermiamo a riflettere col cuore, persino il più positivo e ottimista degli uomini si renderà conto che c'è sempre in noi un angolino buio, dove il peso della vita ha scaricato tutte le sue scorie. Lì il nostro ego non entra volentieri, ha paura di dover fare i conti con una realtà che si presenta deformata, che non vuole riconoscere. Ma c'è qualcuno che apre volentieri quella porta (Ap 3,20): è Gesù, colui che ci rivolge queste parole: "Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò".
Venite a me!” Chi può andare a Gesù? Tutti, nessuno escluso. Anzi: ogni cosa creata, ogni essere senziente. Perché come scrive Giovanni: “Tutto quello che il Padre mi dà, verrà a me e colui che viene a me, io non lo caccerò fuori.” (6,37)
Chi sono gli affaticati e gli oppressi? Matteo adombra in queste parole la prima beatitudine: “Beati i poveri in spirito, perché di loro è il regno dei cieli.” (Mt 5,3)
‘Poveri in spirito’ sono coloro che riconoscono di essere schiacciati dal peso del proprio allontanamento da Dio, e sanno che non basta neanche il più grande sforzo mai messo in atto da un uomo per aver salva la propria anima, per tornare al trono dell’Altissimo (Salmo 113,5). Possiamo tradurre infatti ‘affaticati e oppressi’ con ‘stanchi e carichi’.
‘Poveri in spirito’ sono colore che sanno qual è il posto di Dio nella vita e qual è quello dell’uomo.
Qual è il ristoro promesso da Gesù? È il riposo da questo sforzo continuo di volere, con le nostre azioni, ritrovare quell’unione rotta dal nostro passato fatto di fughe davanti al Signore nella credenza, sbagliata, che egli ci giudichi senza tener conto che siamo uomini, fragili, fallibili.
Gesù, in cui Dio ha preso carne per farsi più vicini a noi, per parlare la nostra stessa lingua, ci prende per mano ed entra con noi in quell'angolo oscuro, nascosto, e nel momento in cui veniamo a contatto con lui sentiamo un vento fresco accarezzare la nostra anima e vediamo un fuoco caldo bruciare quello che finora ci ha affaticato e oppresso.
Nulla chiede Gesù in cambio, se non che prendiamo il suo giogo che è dolce (Mt 11,30), il giogo dei suoi comandamenti. È lì che troveremo gioia: “Gioirò nei tuoi comandamenti, perché li amo.” (Sal 118/119,47).
Il Signore ha già perdonato una volta per tutte, sulla Croce, ogni nostro peccato, ogni nostro allontanamento; adesso tocca farlo a noi.
Gesù, confido in te, aiutami a perdonare ciò che rimane in me del mio passato.

sabato 22 giugno 2024

Lectio su Is 55,10-11

"Come la pioggia e la neve scendono dal cielo e non vi ritornano senza aver annaffiato la terra, senza averla fecondata e fatta germogliare, affinché dia seme al seminatore e pane da mangiare, così è della mia parola, uscita dalla mia bocca: essa non torna a me a vuoto, senza aver compiuto ciò che io voglio e condotto a buon fine ciò per cui l'ho mandata.” (Is 55, 10-11)

Gesù, vedutolo che giaceva e sapendo che già da lungo tempo stava così, gli disse: «Vuoi guarire?»” (Gv 5:6): se Gesù sta guarendo qualcuno, sta guarendo me.
Vi darò un cuore nuovo e metterò dentro di voi uno spirito nuovo; toglierò dal vostro corpo il cuore di pietra, e vi darò un cuore di carne.” (Ez 36:36): se Dio promette un cuore nuovo, lo promette a me.
Ecco, sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me.” (Ap 3:20): se Gesù sta cercando qualcuno, sta cercando me.
Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, perché viaggiate per mare e per terra per fare un proselito; e quando lo avete fatto, lo rendete figlio della geenna il doppio di voi.” (Mt 23:15): se Gesù rimprovera qualcuno, sta rimproverando me.
Dio ci ha creati singolarmente: ognuno di noi è unico nel corpo, nell’anima, nello spirito.
Per questo egli parla personalmente ad ognuno di noi attraverso lo Spirito. Ogni volta che la Sua Parola viene letta c’è sempre un cuore a cui è diretta e porterà sicuramente frutto secondo il Suo volere. Nessuna parola di Gesù è stata pronunciata invano, senza un motivo, senza un interlocutore preciso; è per questo che: “Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno.” (Mt 24,35) Quale promessa è questa! Quanto grande e tremenda verità è questa!

venerdì 21 giugno 2024

Lectio su Salmo 56,3-4.8

3 Nel giorno della paura, 
io confiderò in te.
4 In Dio, di cui celebro la parola;
in Dio confido e non temerò;
che mi può fare il mortale?
8 Tu conti i passi della mia vita errante;
raccogli le mie lacrime nell'otre tuo;
non sono registrate nel tuo libro? (Sal 56,3-4.8)

Esaù ebbe una vita errante (Gen 27,40).
Mosè chiederà, in nome di Dio, ad Israele di ricordare ogni giorno che: “Mio padre era un Arameo errante; scese in Egitto, vi stette come straniero con poca gente, e diventò una nazione grande, potente e numerosa.”
Geremia, nei suoi lamenti su Gerusalemme, chiede al suo popolo di tenere a mente nella sua vita errante tutti i beni preziosi che il Signore gli aveva concesso (Lam 1,7).
La Bibbia è piena di erranti, persone che escono dalla loro terra per andare incontro al Signore; che sono cacciate dalla loro terra; che scelgono di vivere senza una casa e senza una terra.
Persone erranti come noi, perché la Bibbia parla proprio di noi, di ogni momento della nostra vita.
E proprio quando ci sembra di andare vagando per vie che non conosciamo, quando siamo disorientati da quel che capita dentro e fuori di noi, quando crediamo che il mondo non ci voglia più accogliere, ecco la Parola del Signore: Tu conti i passi della mia vita errante! Forse la nostra vita è veramente errante, senza una meta precisa, irta di pericoli, eppure Dio conta uno ad uno i passi che compiamo, e su ognuno veglia perché non mettiamo anche solo un piede in fallo.
L'Eterno protegge tutti quelli che lo amano”. (Sal 145,20)
Noi non siamo mai soli: su di noi veglia Colui che più d'ogni altro al mondo ci ama (Ap 1,5).
La Bibbia è, anche, una storia d’amore.

giovedì 20 giugno 2024

Lectio divina su 2 Cor 3,1-7

Sia benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, Padre misericordioso e Dio di ogni consolazione, il quale ci consola in ogni nostra tribolazione perché possiamo anche noi consolare quelli che si trovano in qualsiasi genere di afflizione con la consolazione con cui siamo consolati noi stessi da Dio. Infatti, come abbondano le sofferenze di Cristo in noi, così, per mezzo di Cristo, abbonda anche la nostra consolazione. Quando siamo tribolati, è per la vostra consolazione e salvezza; quando siamo confortati, è per la vostra consolazione, la quale si dimostra nel sopportare con forza le medesime sofferenze che anche noi sopportiamo. La nostra speranza nei vostri riguardi è ben salda, convinti che come siete partecipi delle sofferenze così lo siete anche della consolazione.
(2Cor 3,3-7)

La nostra idea di “essere consolati” da Gesù è quella di fluttuare in una specie di mare in cui il dolore e la sofferenza (fisica, spirituale, psicologica) che la vita ci provoca sia come ovattata, che non si senta troppo, che non faccia troppo male. È come chiudere una finestra e lasciare fuori il male che ci circonda.
Paolo, l’apostolo, ci dice che non è così. Questa non è vita cristiana, ma un semplice adagiarsi in una situazione di comodo in attesa che tutto passi. Perché, prima o poi, tutto passa; la stessa saggezza popolare (che è nata spesso da una forse anche distorta comprensione della fede) dice che il tempo lenisce le ferite.
Paolo, scrivendo ai cristiani di Corinto, afferma, invece, che la “consolazione” (il cui termine greco si traduce con “chiamare a fianco”) è un atteggiamento attivo, positivo e propositivo.
“Dio è per noi un rifugio e una forza, un aiuto sempre pronto nelle difficoltà.” ci fa cantare il salmo (Sal 46,1).
L’essere consolati da Gesù significa sentirlo al nostro fianco combattere con noi contro ciò che ci fa star male.
“L'Eterno cammina egli stesso davanti a te; egli sarà con te; non ti lascerà e non ti abbandonerà; non temere e non perderti d'animo” ricorda il quinto libro della Bibbia. (Dt 31,8)
Come starà Dio con noi? Ce lo dice Gesù, quando ci annuncia l’invio dello Spirito Santo, che chiama egli “il Consolatore”
“Io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Consolatore, perché stia con voi per sempre.” (Gv 14,16)
E ancora. “Ma il Consolatore, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, egli v'insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto.” (Gv 14,26)
Paolo dice: quando noi subiamo tribolazioni dalla vita, è proprio per avere la possibilità di sentire il Signore al nostro fianco anche in queste situazioni. Quando siamo colpiti dalle sofferenze di qualsiasi tipo, è (anche) per sperimentare la vicinanza di Gesù che, anche e molto di più di ogni persona che ci ama veramente, non sparisce nel momento del bisogno.
E Gesù è vicino a noi attraverso lo Spirito Santo: “è utile per voi che io me ne vada, perché, se non me ne vado, non verrà a voi il Consolatore.” (Gv 16,7)
Ma non è solo questo. Dice Paolo che la consolazione è un atteggiamento attivo, perché ci sprona a stare noi stessi vicino agli altri quando questi sono nella sofferenza. Se siamo consolati da Gesù abbiamo un solo modo di ringraziarlo e dimostrarli l’amore che merita: stando vicino agli altri nella sofferenza. Noi diventiamo così messaggeri dell’amore del Signore, la mano, gli occhi, il cuore di Gesù che ama.
Essere consolati, quindi, non è adagiarsi, ma ricaricarsi della potenza dello Spirito e andare.

mercoledì 19 giugno 2024

Lectio su Geremia 33, 1-3

1 La parola del SIGNORE fu rivolta per la seconda volta a Geremia in questi termini, 
mentre egli era ancora rinchiuso nel cortile della prigione:
2 «Così parla il SIGNORE, che sta per fare questo;
il SIGNORE che lo concepisce per mandarlo ad effetto,
colui che ha nome il SIGNORE:
3 "Invocami, e io ti risponderò,
ti annuncerò cose grandi e impenetrabili
che tu non conosci".


Noi siamo dalla parte sbagliata della realtà.
La realtà vera è quella che sta dall’altra parte di questa vita.
Quella parte di vita che sta dopo la morte.
Gesù è venuto per dire che dobbiamo smettere di cercare il significato ultimo della vita; che i nostri sforzi in questo senso sarebbero vani, inutili, per il semplice fatto che proprio il nostro ‘essere umani’ ci impedisce di farlo. Come dice Gesù nel vangelo di Giovanni: “senza di me non potete fare nulla” (15,5).
Invocami, e io ti risponderò”. Chiedimi quello che vuoi sapere, quello che ti sta a cuore, e io te lo rivelerò.
Qual è la cosa che ci sta più a cuore in questa vita? L’essere felici, credo. Il vivere in armonia con noi stessi, con gli altri, con la natura. Godere pienamente di questa vita. Il non doverci ogni momento guardare alle spalle, il poter cooperare con gli altri per il bene “di tutti gli esseri senzienti”.
Ti annuncerò cose grandi e impenetrabili, che tu non conosci.
Questa è la risposta di Dio (“colui che ha nome il SIGNORE”): le cose che io ti dirò in risposta alla tua domanda, sono cose impenetrabile che tu non conosci.
La mente umana non può penetrare la realtà di questa vita, non può andare oltre, perché non è capace di farlo, perché c’è qualcosa che glielo impedisce: la sua umanità.
Non è con il ragionamento umano, coll’intestardirsi nel volersi mettere a posto di Dio che possiamo conoscere “le cose di Dio”, ma solo invocandolo e ascoltando la sua risposta.
Gesù è la risposta di Dio alla domanda di felicità dell’uomo.
Solo Gesù può dare questa risposta perché solo lui conosce cosa c’è dopo questa vita.
Egli è il Dio eterno, creatore d’ogni cosa; e perciò è colui che sa la verità, sa come deve funzionare il mondo perché regni l’armonia, la felicità.
Infatti Gesù è colui che ha detto: “Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me.” (Gv 14,6)
Nessuno può conoscere la verità sulla vita se non è lui a rivelarla, lui che solo la conosce.
Nascendo a vita umana “quando venne la pienezza del tempo” (Gal 4, 4), cioè in un posto particolare, in un momento della storia particolare, da una donna in particolare, egli ha accettato il compito di compiere la promessa di Dio di rivelarci il segreto, “grande e impenetrabile” da mente umana, di questa vita vera e perciò perfetta.
E ha dovuto morire per dimostrare che tutto ciò che aveva annunciato in vita (le beatitudini, la possibilità di riscatto dai legami della vita...) corrispondeva a verità perché mai si era sentito di un uomo che risorge, che torna a vivere dopo essere stato inchiodato su una croce.
Risorgendo Gesù ha confermato che solo lui è via, verità e vita.
Che solo lui sa qual è la strada per trovare la realtà vera, quella che troveremo dopo la nostra morte.

Un uomo aveva un campo...

C’era un uomo che aveva un campo. Il campo era rigoglioso e tutto quello che l’uomo piantava cresceva a dismisura, perché l’uomo ne aveva mo...