Insomma: Dio vuole che lo preghiamo così.
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Crocifisso di San Damiano |
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Il Paradiso terrestre (1) |
Così dice il Signore:
«Maledetto l’uomo che confida nell’uomo,
e pone nella carne il suo sostegno,
allontanando il suo cuore dal Signore.
Sarà come un tamarice nella steppa;
non vedrà venire il bene,
dimorerà in luoghi aridi nel deserto,
in una terra di salsedine, dove nessuno può vivere.
Benedetto l’uomo che confida nel Signore
e il Signore è la sua fiducia.
È come un albero piantato lungo un corso d’acqua,
verso la corrente stende le radici;
non teme quando viene il caldo,
le sue foglie rimangono verdi,
nell’anno della siccità non si dà pena,
non smette di produrre frutti». (Ger 17,5-8)
Abbiamo bisogno di un posto dove stare, dove riposare.
E possiamo scegliere.
Nella steppa, nell’aridità del deserto.
E allora, come un tamerice, avremo momenti in cui saremo rigogliosi, avremo una chioma affascinante e un fusto possente. Ma sarà solo nei rari momenti in cui un torrentello gonfiato da poca acqua sporca verrà a bagnare le nostre radici; e la piena passerà presto, ed essendo la quantità d’acqua così abbondante in così poco tempo, le radici non potranno assorbirne nemmeno un po’. E per il resto dell’anno sarà arido.
Oppure potremmo scegliere di stare lungo le acque del fiume, che bagnano il nostro albero, scorrono lentamente quasi stagnando, e ci garantiscono un abbeveramento continuo.
Possiamo scegliere se vivere di momenti di gloria, di eccessi e di exploit, di piume di struzzo e di paillettes, approfittando della lotta in cui vive il mondo per stare in alto, seppur per un istante, abbeverandoci ad un po’ d’acqua sporca.
O possiamo scegliere di farci irrorare da un’acqua fresca e purificante, che ci fa portare frutti continui, che ci dona foglie turgide e verdi sotto cui anche gli altri potranno trovare ristoro. L’acqua del fiume della vita, che scorreva già all’alba della creazione (Gen 2,5), quando ancora nessun uomo lavorava la terra ma Dio voleva darci comunque dei frutti del suo giardino.
Possiamo scegliere: scendere vestiti d’arroganza e spirito di contesa dalle scale di Sanremo, vestiti da un mantello rosso fuoco che toglieremo con un gesto teatrale, rimanendo mezzi ignudi davanti a folle osannanti.
O andare per la nostra strada coscienti che il mantello che indossiamo è quello dei profeti (Mt 3,4), peloso, pungente, segno dell’abbassamento davanti a Dio, della richiesta di perdono per la nostra piccolezza e pochezza.
O ancora, è il mantello di porpora che il mondo ci butta addosso perché disprezza la nostra esistenza che si sforza di nutrirsi di bontà e rettitudine; come il mantello quello che fu gettato addosso a Gesù durante la via della Croce (Mt 27,28).
Siamo chiamati a giudicare, non le persone ma il mondo.
Quel mondo in cui Gesù ci ha mandato a vivere una vita semplice come quella delle colombe, ma a stare accorti come i serpenti (Mt 10,16), perché basta un attimo per cadere sotto le grinfie del nostro nemico che “come leone ruggente va in giro, cercando chi divorare” (1 Pt 5,8).
C’è un giudizio che dobbiamo accettare: “E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce, perché le loro opere erano malvagie.” (Gv 3,19)
Ci vuol poco a farci abbagliare, non dalla luce di colui per il quale, sin dall’inizio del mondo, siamo stati predestinati a diventare figli di Dio (Ef 1,5); ma dalle tenebre di colui che, sin dall’inizio del mondo, vuole farci scambiare il piombo per l’oro, il male per bene, la morte per la vita, l’arroganza per conoscenza (Gn 3,17).
Abbiamo bisogno di un posto dove la nostra anima possa stare, dove possa riposare.
Dove possa vivere nella pace della benedizione di Dio (Gen 1,28), nella confidenza e nella fiducia in lui (Ger 17,7).
(1): immagine tratta dal sito di Simone Venturini
Si dice che i Salmi siano la preghiera della Chiesa. Anzitutto perché sono testi comuni a tutti i cristiani: chiunque può pregare con quelle...